Il Patrono

San Pietro da Verona
LA VITA

San Pietro nacque a Verona nel 1203, in una famiglia pervasa dall’eresia catara.
Dedicò tutta la sua vita a difendere la Verità espressa nel “Credo”, che incominciò a recitare dall’età di sette anni e che continuò a proclamare fino al suo martirio. I più antichi documenti raccontano che, una volta, uno zio chiese al nipotino di sette anni che cosa avesse appreso a scuola; questi recitò il Credo e non si lasciò convincere dalle obiezioni dello zio.
Nell’ambiente universitario di Bologna, dove si era recato per gli studi accademici, nel giorno di Pentecoste del 1221, secondo le Vitae Fratrum, ascoltò una delle ultime prediche di San Domenico e ne rimase talmente colpito da decidere di aderire all’Ordine domenicano.
La sua prima attività apostolica di un certo rilievo si deve collocare a Milano e a Venezia fra il 1232 e il 1234.
Di fronte ai danni e alle tensioni, anche sociali, provocati dalle varie eresie che si stavano diffondendo, si dedicò alla formazione cristiana dei laici, facendosi promotore, come narrano alcuni cronisti di poco posteriori, delle “Società della fede” che avevano come scopo la difesa dell’ortodossia cattolica, la diffusione del culto della Beata Maria Vergine (le “Confraternite mariane” a Milano) e le opere di misericordia.
Anche le Confraternite di Firenze (quella del Bigallo e quella delle Laudi in S. Maria Novella) e di Perugia ricordano il santo come loro fondatore.
Tali Compagnie ed altre simili si diffusero verso la metà del sec. XIII presso molti conventi domenicani ed esercitarono un grande influsso sui cristiani, confermandoli nella fede e allontanandoli dalle dottrine erronee.
Nel 1236 è documentata la presenza di Pietro a Como, probabil­mente come priore della recente fondazione dome­nicana che si trovava in difficoltà. Infatti i monaci di S. Abbondio, che dapprima avevano ceduto ai Domenicani la chiesa di S. Giovanni in Pede­monte, cercavano ora – spinti dal “partito ereti­co” – di allontanarli dalla chiesa e dalla città.
Negli anni seguenti Pietro svolse un’attività aposto­lica prodigiosa come predicatore della vera fede e confutatore delle dottrine eretiche a Vercelli (1238), a Roma (1244) e a Firenze (1245). Qui diventò amico e consigliere dei sette santi Fonda­tori dell’Ordine dei Servi di Maria, predicò pubblicamente contro le eresie e si occupò, come già prima a Milano, della direzione spirituale delle suore.
Il suo zelo e la sua carità lo spinsero ad estendere la propria attività a tutta l’Italia settentrionale e precisa­mente alle città di Mantova, Pavia, Bergamo, Cesena. Nel 1249 contribuì alla pacificazione delle città della Romagna e della Marca Anconetana. Dopo il suo priorato ad Asti (1248-1249) e a Piacenza (1249-1250) tornò a Milano che fu il campo principale del suo apostolato.
Era evidente il suo amore appassionato per Cristo e la sua Chiesa, amore che si esprimeva principalmente attraverso il ministero della predicazione e della riconciliazione.
Il papa Innocenzo IV, dopo la morte dell’imperatore Federico II (1250), essendo più libero nei suoi movimenti e nella sua azione, nel 1251, proveniente da Lione, soggiornò per alcuni mesi in Lombardia. Qui constatò coi propri occhi l’influsso degli eretici e decise di usare dei mezzi idonei per contrastarlo. Fra questi doveva figurare al primo posto l’istituzione di inquisitori per le città lom­barde. L’8 giugno 1251, il papa Innocenzo IV affidò a Pietro, mentre era Priore nel convento di Como, il mandato speciale di contrastare l’eresia catara a Cremona e, nell’autunno successivo, lo nominò difensore della integrità della fede cattolica per le città di Milano e di Como e i territori circostanti.
Nello svolgimento di tale importante incarico Pietro intensificò la predicazione, annunciando il Vangelo di Cristo e spiegando la vera dottrina della Chiesa, incurante delle ripetute minacce di morte che gli giungevano da più parti.
La sua passione missionaria e l’obbedienza lo portarono spesso a Milano dove, davanti a grandi folle, esponeva la verità del Cristianesimo, sostenendo numerose dispute pubbliche contro i capi dell’eresia catara. La sua predicazione, sostenuta da una solida conoscenza della Scrittura, era accompagnata da un’ardente ed infaticabile testimonianza di amore e di attenzione alle persone ed era confermata da miracoli. Era ovunque ascoltato e seguito, stimolando così un’autentica rinascita della vita cristiana nel popolo.
La domenica delle Palme (24 marzo 1252) offrì una possibilità a coloro che in Milano erano sospetti di eresia, se avessero dichiarato loro obbedienza alla Chie­sa non avrebbero dovuto affrontare il processo religioso. In quella stessa occasione predisse anche la propria morte: «So con certezza che la mia morte è stata decretata dagli eretici e che hanno preparato il denaro. Facciano come credono; li combatterò più da morto, di quanto abbia fatto da vivo». Infatti le sette di Milano, Bergamo, Lodi e Pavia avevano già deciso la morte di Pietro e di Rainerio Sacconi, inquisitore di Pavia. I principali capi del complotto, organizzato da eretici e da ghibellini, furono Giacomo della Clusa, Stefano Confalonerio, Manfredi Chrono e Guidotto Sachella. Come esecutori dell’assassinio reclutarono Pietro da Balsamo detto Carino e Albertino Porro di Lentate.
Il santo, tornato intanto a Como, decise di recarsi nuovamente a Milano la domenica in albis (7 apr.). Carino venne a conoscenza di questo viag­gio, intrapreso il sabato 6 aprile in compagnia di fra Domenico Conrado e di un terzo frate. I due assas­sini li seguirono, superarono il gruppo, che si era fermato a Meda per mangiare, e si nascosero nei boschi di Barlassina sulla via Canterina, in un luogo detto Farga.
All’avvicinarsi del santo con fra Domenico, Albertino Porro, sentendo orrore per il delitto che stava per compiere, si diede alla fuga. Carino agì da solo: con un colpo di “falcastro” spezzò il capo di Pietro e gli immerse nel petto un lungo coltello. Il nuovo martire ebbe ancora la forza di recitare negli ultimi istanti di vita le prime parole del Credo e  di perdonare il suo assassino. Fra Domenico, colpito da parecchie ferite mortali, spirò dopo sei giorni di agonia nel monastero delle Benedettine di Meda.
Sul luogo del suo martirio, a Seveso, nel territorio di Farga, oggi sorgono il Santuario e la Parrocchia a lui dedicati.
Santa Caterina da Siena scrisse che, con il martirio, il cuore di questo grande difensore della fede, continuò a sprigionare “luce nelle tenebre delle molte eresie”.
La figura di Pietro rimase offuscata e la sua fisio­nomia spirituale alterata nei secoli seguenti, specialmente al tempo della Controriforma; non si vedeva in lui che il combattente contro l’eresia e il duro inquisitore. Certo, le stesse leggende e le biografie del santo contribuirono a tracciare questi lineamenti, ma furono specialmente gli inquisitori dei secoli successivi che, reclamando il suo patro­cinio ed esaltando in lui il loro protettore celeste, gli diedero la fisionomia spirituale dell’inquisitore ideale del loro tempo. Non ci si meravigli perciò se anche negli storici moderni si trovano afferma­zioni molto parziali o persino false sul santo, come per esempio quella sui roghi accesi da lui per bruciare gli eretici … Pietro fu inquisitore solo per alcuni mesi e non possediamo nemmeno un solo indizio, nei documenti, che faccia concludere per un processo inquisitoriale contro gli erranti nella fede. Possiamo invece scoprire in lui tratti molto umani, come la sua sollecitudine per il bene spirituale delle persone. Del resto la venerazione durante la vita e il culto, diffusesi largamente e immediatamente in mezzo al popolo fin dal primo istante dalla morte, dimostrano che egli, anche come uomo, si era conquistato i cuori.

 

IL CULTO E LA CANONIZZAZIONE

La voce del delitto di Farga si propagò fulminea e provocò stupore, specialmente a
Milano. La salma del martire fu collocata la stessa sera a S. Simpliciano fuori le mura e l’indomani portata in vero trionfo al convento domenicano di S. Eustorgio. In quello, stesso giorno si diffonde­vano già le voci di grazie e miracoli, avvenuti per intercessione del nuovo martire, miracoli che si intensificarono col tempo. Tra queste grazie bisogna annoverare certamente anche la conversione del vescovo eretico Daniele da Giussano, che macchinò la morte del santo, e quella del suo assassino Carino; ambedue entrarono nell’Ordine Domenicano.   .
Mosse da questa venerazione generale, le auto­rità milanesi mandarono a Perugia, da Papa Innocen­zo IV, una delegazione ufficiale per chiedere la canonizzazione per Pietro. Il 31 ag. 1252 il Papa nominò una commissione, composta dall’arcivescovo Milano, dal vescovo di Lodi e dal prevosto di S. Nazaro di Milano, perché si cominciasse il processo canonico. Il processo e il suo esame da parte delle Autorità della Curia di Roma furono eseguiti con una rapidità straordinaria. Già il 9 marzo 1253 – undici mesi dopo la morte – Innocenzo IV celebrò nella piazza della chiesa domenicana, a Perugia, la cerimonia della canonizzazione e il 24 seguente emanò la Bolla Magnis et crebris con la quale iscriveva il martire nel catalogo dei santi e ne fissava la data della festa al 29 aprile.
Nell’estate dello stesso anno, in occasione del capitolo provinciale dei Domenicani a Milano, l’arcivescovo depo­neva il corpo del santo, privo del capo, in un modesto sarcofago di marmo e lo collocava nella quinta campata della navata sinistra della chiesa di S. Eustorgio. Ma i Domenicani desideravano di più: raccolsero perciò offerte e  nel 1336 incaricarono lo scultore pisano Giovanni Balduccio della costru­zione di un monumento marmoreo sul modello dell’Arca di S. Domenico a Bologna. Questo monu­mento, terminato nel 1339, diverrà uno dei capo­lavori della scultura gotica italiana. Le spoglie del santo vi furono rinchiuse solennemente in occasione del capitolo generale dell’Ordine nel 1340. Per la reliquia del capo, il fiorentino Pigello Portinari fece costruire fra il 1462-1468 una elegante cap­pella, decorata fastosamente da Vincenzo Foppa. Dopo la ricognizione canonica del corpo, avvenuta nel 1736, anche questo fu trasportato in quella cappella.
I Domenicani, subito dopo la canonizzazione, curarono l’erezione di chiese in onore di san Pietro (la piu grandiosa è quella di Verona, detta di S. Anastasia) o almeno di una cappella nelle chiese già esistenti. Ma a propagare il suo culto furono specialmente le Confraternite o Compagnie di S. Pietro fondate presso le chiese domenicane in tutto il mondo. Parecchie città italiane lo eles­sero a loro protettore e celebravano la sua festa come fosse di precetto; tra queste Verona, Vicen­za, Cremona, Como, Piacenza, Cesena, Spoleto, Recanati, Rieti, ove si correva, nella festa, anche il palio. In alcuni luoghi Pietro è stato anche protettore di alcune società di arti e di mestieri, fra le quali calzolai e tessitori.

 

LA  ICONOGRAFIA

Come era da attendersi l’icono­grafia di San Pietro da Verona apparve, specie in Italia, assai presto.
San Pietro da Verona, è un religioso martire appartenente all’Ordine dei Predicatori, per cui lo troviamo raffigurato con la tonaca bianca, ricoperta dalla cappa con cappuccio nero, e con il segno del martirio, cioè la palma, nella mano. La morte gli fu procurata con colpi di coltello sul capo e con colpi di pugnale, strumenti che entreranno come distintivi nella iconografia del santo. Infatti, nelle rap­presentazioni, vediamo quasi sempre una ferita sanguinante alla fronte o una roncola che penetra nel cranio, mentre il pugnale lo si riscon­tra confitto nel cuore o ai fianchi o nel torace o anche nella schiena, secondo la posizione prescelta dall’artista.
Nella lettera di Roderico de Atencia a Raimondo di Penafort, probabilmente scritta nello stesso anno del martirio, si racconta che «non emise un lamento, non fece alcun gesto di difesa, né alcun tentativo di fuga, ma sopportando tutto con fortezza, perdonò con bontà chi lo colpiva pregando per lui con le braccia protese verso il cielo e, ripetendo con chiara voce: «Nelle tue mani, Signore, raccomando lo spirito mio », rese la sua anima immacolata a Cristo crocifisso e risorto». Nella Bolla di canonizzazione tro­viamo anche un altro particolare: morì recitando le prime parole del Credo. Alcuni artisti, per esprimere questo particolare molto importante, hanno raffigurato il santo, disteso a terra, che sta scri­vendo con il proprio sangue la parola Credo.
Ricordiamo che erano due i sicari in agguato nel bosco di Barlassina, che uno fuggi prima di compiere l’uccisione e che due erano pure i frati assaliti, fra Pietro da Verona e fra
Domenico, suo compagno di viaggio. Gli artisti si ispirano a questa scena quando rappresentano tre protagonisti: san Pietro da Verona, già colpito alla testa, fra Domenico che tenta di fuggire urlando, sebbene anche lui fosse ferito mortalmente, e infine l’uccisore che infligge la pugnalata al santo. Qualche volta gli artisti introducono anche un quarto per­sonaggio, cioè il sicario alle prese con fra Domenico. L’esempio più antico di tali rappresentazioni risale alla metà del Trecento; precedentemente invece la figura di Pietro si presenta sul fondo dorato dei polittici o sugli affreschi nelle chiese o scolpita sui sarcofagi; anche i suoi miracoli vengono a decorare i gradini dei polittici stessi.
Nel periodo rinascimentale troviamo ancora il martirio rappresentato nei polittici e nelle vetrate, ma diventa anche tema a sé in cicli pittorici, sia su tavola che ad affresco.
Il grande pittore Tiziano lascerà opere impor­tanti su questo santo.
Durante il periodo della Controriforma la stessa Inquisizione diede vigore alla devozione ver­so il nostro testimone della Fede e cosi la sua ico­nografìa si arricchì in modo eccezionale.
Dato il numero considerevole delle immagini, elenche­remo solo quelle che ci sembrano più importanti.
Tra le rappresentazioni pittoriche dobbiamo ricordare il San Pietro di Duccio Boninsegna, nella “Madonna Rucellai” (1285), appartenente alla chiesa di S. Maria Novella di Firenze, ma attualmente espo­sta agli Uffizi. Da Santa Maria Novella proviene pure una tavola che attualmente è conservata nella Galleria di Parma, con Madonna in trono fra angioli e santi, di ignoto Maestro, certamente della seconda metà del sec. XIV, dove vediamo P. in ginocchio con la ferita nel capo e un pugnale nella schiena.
Cimabue nella chiesa superiore di S. Francesco ad Assisi rappresenta Pietro con s. Domenico, anche Simone Martini lo raffigura così nel polittico di Pisa (1320).
Della scuola di Giotto abbiamo un san Pietro bene­dicente in S. Domenico Maggiore
A Napoli, uno lo vediamo pure in S. Eustorgio a Mi!ano in un affresco dei primi del Trecento. E’ da ricordare pure il san Pietro che, bene­dicendo, allontana un cavallo infuriato, mentre predica in piazza, di Bernardo Daddi (1338), tavo­letta che si trova nel Museo delle Arti Decorative di Parigi e che faceva parte di una predella d’altare già in S. Maria Novella di Firenze.
La Pinacoteca Vaticana possiede un trittico di Lippo Vanni (sec. XIV), dove il santo appare con palma e libro.
A Verona abbia­mo varie rappresentazioni di lui. Su un pilastro della cappella maggiore della chiesa domenicana di S. Anastasia troviamo un affresco con la figura di Pietro, lo rivediamo inoltre nel trittico di un altare laterale, a fianco della Madonna del Rosario; nella vetrata centrale, opera però recente; nelle due lunette sopra il portale centrale ed infine in un quadro con la scena del martirio sopra la porta interna della sacrestia. Nella chie­setta presso S. Anastasia, dedicata proprio a lui, e che fu sede per moIto tempo della omonima confraternita, vi è dipinta un’antica immagine del santo di Verona.

 

CONCLUSIONE

San Pietro da Verona, fedele discepolo di Gesù Cristo, che ha continuamente cercato nella preghiera e nella contemplazione ed instancabilmente annunciato e amato fino al martirio, esorta i cristiani del nostro tempo a superare la tentazione di un’appartenenza adesione tiepida, parziale o formale alla fede della Chiesa.
San Pietro da Verona invita tutti a considerare Cristo il centro della propria esistenza, a conoscerlo, ad amarlo, ad imitarlo per trasformare con lui la storia fino al suo compimento.
Ogni cristiano, seguendo il suo esempio, è incoraggiato a resistere alle facili tentazioni del potere e della ricchezza per cercare innanzitutto “il regno di Dio e la sua giustizia” (Mt 6, 33) e per contribuire a realizzare un ordine sociale sempre più rispondente alle esigenze della dignità della persona.
Il ricordo di questo santo sia occasione di grazia e di rinnovato impegno ad annunciare con coraggio e con gioia sempre nuova il Vangelo.